Ho letto recentemente questo libro, dal titolo forte e molto provocatorio.
E’ molto breve, si legge in due o tre ore, ma è comunque interessante e lo consiglierei a chiunque lavori, si occupi o abbia a che fare con il digitale, cioè un po’ tutti noi..
Gli argomenti trattati sono noti e molto attuali, dai social network alle fake news, dal web ai movimenti populisti che hanno trovato nella rete il loro ambiente naturale e che gli ha permesso di prosperare.
"E’ come se non si fosse ancora capito che votare non è come mettere un ‘mi piace’ su Facebook, un cuoricino su Twitter o un like su Instagram. Le elezioni sono una cosa seria, la democrazia sui social no"
Molti gli esempi: dai 5 stelle di casa nostra a Trump, anche se la realtà è ovviamente un po’ più complicata di così..
"Dopo che il web è diventato adulto e i social network vivono un’adolescenza turbolenta, è arrivato il momento dei bilanci. Cosa è andato storto rispetto alle previsioni?"
Perchè molti degli attori protagonisti di questa rivoluzione digitale, oggi hanno fatto del mettere in guardia dai pericoli che stiamo correndo, e soprattutto che stanno correndo i nostri ragazzi e i nostri bambini, la loro missione di vita?
"La modesta proposta era quella di chiudere Internet. Il paradosso, scriveva Soncini, è che se tutta la conoscenza è gratis non frega più niente a nessuno di imparare qualcosa. Ed è esattamente questo il punto, l’approdo a cui siamo giunti."
Anche Sean Parker, fondatore di Napster e primo presidente di Facebook, figura resa ancora più famosa dall’interpretazione di Justin Timberlake nel film ‘The Social Network’ del 2010, è uno di questi, e la sua preoccupazione principale è proprio l’effetto degli ultimi anni dei social network nei confronti dei più giovani.
Riporto di seguito alcuni passaggi del libro che mi hanno colpito e che trovo davvero interessanti e meritevoli di qualche riflessione:
“La modesta proposta era quella di chiudere Internet. Il paradosso, scriveva Soncini, è che se tutta la conoscenza è gratis non frega più niente a nessuno di imparare qualcosa. Ed è esattamente questo il punto, l’approdo a cui siamo giunti.
L’articolo, in realtà, proponeva di far pagare l’uso di Internet, - un centesimo per ogni opinione che ci urge esprimere su temi di cui non sappiamo niente -, in modo che urga molto di meno e di conseguenza si ponga un argine alla ‘dittatura dell’incompetenza’. Chiudete Internet però rendeva meglio, allora come oggi, di Fate pagare Internet, in ogni caso il cuore di quella copertina e di questo libro è l’urgenza e la necessità di cambiare il modello di business della Rete al fine di salvaguardare la società aperta”.
“VandeHei ha fornito quattro idee per restaurare la fiducia nei media, una ciascuno per i politici, per le redazioni, per i social network e per gli utenti. Ai politici VandeHei dice di smetterla di usare l’espressione fake news perché la cosa peggiore che possa capitare a un paese è quella di avere un popolo che crede nelle bugie e non si fida di nessuno; ai media suggerisce di vietare ai giornalisti di usare i social, in particolare Twitter, tranne che per la condivisione degli articoli; alle piattaforme digitali consiglia di autoregolamentarsi o di consentire allo Stato di intervenire per mettere ordine come già succede con i media tradizionali o con le grandi infrastrutture tecnologiche; agli utenti, infine, ricorda che siamo tutti colpevoli per cui è arrivato il momento di smettere di condividere articoli che non abbiamo letto, di twittare le nostre irritazioni, di cliccare sulla spazzatura. Sono raccomandazioni minime, di buon senso, quasi banali, ma metterle in pratica è più complicato che progettare un processore quantistico.”
"Ai politici VandeHei dice di smetterla di usare l’espressione fake news perché la cosa peggiore che possa capitare a un paese è quella di avere un popolo che crede nelle bugie e non si fida di nessuno"
“E’ come se non si fosse ancora capito che votare non è come mettere un ‘mi piace’ su Facebook, un cuoricino su Twitter o un like su Instagram. Le elezioni sono una cosa seria, la democrazia sui social no.
Quando si esprime un voto con la stessa leggerezza di un commento su Internet, poi ci si accorge che non lo si può modificare o cancellare o sostituire con un post o uno status di spiegazioni e di scuse, come capita quando si scrive una scemenza sui social. Alle elezioni non c’è modo di svuotare la cache. Il voto resta.
Sembra una banalità, e in fondo lo è, ma è anche una di quelle verità ovvie, che gli americani chiamano truism, che andrebbero scolpite nel marmo all’ingresso dei seggi elettorali: - Le elezioni hanno conseguenze -.
E Internet, come abbiamo visto, ha avuto un ruolo non secondario nel determinare chi le vince. Le elezioni hanno conseguenze, ma anche premesse.”
Lettura veloce ma consigliata.
A presto
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