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Immagine del redattoreAntonio Garbaccio

Interviste: Pietro Puglisi di Claris Ventures, esperto di Life Science e Biotech

Laureato in Ingegneria Biomedica, MBA, consulenza prima in Lifesciences Consulting e poi VC con Innogest. Per finire Claris Ventures.


Oggi abbiamo l’occasione di poter parlare con Pietro Puglisi, esperto di Life Science e Biotech, e recentemente co-partner del fondo di investimenti Claris Ventures, specializzato in startup di ambito biopharma, preferibilmente early stage.


Pietro e il suo socio Ciro sono saltati agli onori delle cronache negli ultimi giorni per aver partecipato al funding di oltre 5 milioni di euro di Kither Biotech, società con base a Torino, spin-off dell’Università degli Studi di Torino, con focus su nuove terapie in ambito polmonare ed in particolare per quanto riguarda la fibrosi cistica.


Tornando a Pietro: curriculum d’eccezione. Laureato in Ingegneria Biomedica, MBA, consulenza prima in Lifesciences Consulting e poi VC con Innogest. Per finire Claris Ventures.

Quindi direi di partire con le domande!!


Ciao Pietro, e grazie infinite per il tempo che hai deciso di dedicarci! Perchè non provi brevemente a raccontarci il tuo background e il percorso che ti ha portato verso il mondo biotech?

Ciao Antonio, grazie a te per l’interesse. Come ingegnere biomedico ho avuto la fortuna di essere esposto a diversi tipi di innovazione nel mondo medicale e l’esperienza in consulenza mi ha portato ad appassionarmi in particolare al mondo farmaceutico. Al netto di elementi di accesso al mercato e rimborsabilità, l’intero universo del pharma vive di innovazione e di good science, mantenendo estremamente alta l’attenzione all’innovazione – che ha dato vita a diverse rivoluzioni nel corso dei decenni, basti pensare alle scoperte sul DNA ricombinante negli Anni '70 o a quel che oggi sta succedendo con le terapie cellulari ed il gene editing.


Per i non addetti ai lavori come me, provi ad aiutarci a capire la differenza tra mondo ‘Healthcare’, ‘Lifescience’ e ‘Biotech’?

Ci si riferisce generalmente alle Life Sciences, o scienze della vita, come a tutte le aree di ricerca che hanno impatto sulla nostra salute. Il Biotech, invece, è tecnicamente la branca delle scienze della vita che si occupa di tecnologie sviluppate grazie all’utilizzo di microorganismi – come batteri – per la produzione di terapie o prodotti che siano poi usati sull’uomo. In senso più ampio, si parla oggi di biotech per riferirsi allo sviluppo

di nuove terapie innovative, indipendentemente dalla specifica tecnologia con cui la nuova molecola è prodotta. In ultimo, il termine Healthcare è invece usato per riferirsi ai contesti sanitari in cui le terapie, una volta sul mercato, sono rese disponibili ai pazienti.


"L’intero universo del pharma vive di innovazione e di good science, mantenendo estremamente alta l’attenzione all’innovazione"

Da quanto ne so io, il percorso di questo tipo di soluzioni è estremamente lungo e tortuoso, parliamo anche di anni. Dagli studi, allo sviluppo pre-clinico fino al go-to-market. Quindi immagino che le regole auree di metodo lean e MVP che si applicano alle startup di altri settori non si possano applicare invece nel Biotech, corretto? E quali sono invece i consigli e le regole da tenere a mente?

Sfatiamo un mito: oltre il 50% delle acquisizioni di società biotech da parte della grandi società farmaceutiche avviene tra la fase preclinica e la fase 1 di sviluppo (i primi test sull’uomo), con ormai il 70% del budget di R&D di queste società spostato dallo sviluppo interno alle operazioni di investimento ed acquisizione. Quindi di fatto il concetto di “lean development” è molto attuale anche nel biotech ed il nostro approccio punta proprio all’identificazione quanto più anticipata possibile di un percorso di sviluppo che porti allo sviluppo di evidenze cliniche forti, innescando opportunità di co-sviluppo, licensing o vendita già nelle prime fasi del percorso clinico.


Quanto è difficile dalla tua esperienza portare sul mercato delle soluzioni così ‘scientifiche’? E quali sono le difficoltà maggiori e gli ostacoli più comuni e difficili da superare?

Per arrivare sul mercato è necessario completare il percorso clinico/regolatorio a supporto della richiesta di autorizzazione che deve essere sottomessa in EU alla European Medicine Agency (EMA), in US alla Food and Drug Administration (FDA) o ad altre autorità regolatorie nel mondo.

Tipicamente, però, il percorso di una nuova società biotech punta a dimostrare il potenziale del proprio prodotto attraverso studi di Fase 1, per dimostrarne la safety, e di Fase 2, per dare una prima evidenza di efficacy, per poi arrivare ad un accordo con una società farmaceutica che abbia la potenza di fuoco per completare il percorso di sviluppo con uno studio di Fase 3, più ampio e pertanto costoso, e portare il farmaco sul mercato.

Gli ostacoli più comuni, al netto del naturale rischio di fallimento del farmaco, includono la necessità di disegnare ed eseguire il percorso di sviluppo più adatto, la necessità di attirare un team capace di affrontare i mille imprevisti che possono emergere e di dotarlo dei capitali opportuni – dalle decine alle centinaia di milioni di euro lungo l’intero percorso.


"Sfatiamo un mito: di fatto il concetto di 'lean development' è molto attuale anche nel biotech"

Per chi si volesse buttare in questo mondo, o che fa ricerca e quindi ha bisogno di trovare dei partner più esperti del lato business o al contrario, cosa ti sentiresti di dire? Mi spiego meglio: come dovrebbe essere formato un team di una startup Biotech?

Il team scientifico può non essere full time, mantenendo le proprie posizioni accademiche e di ricerca. E’ opportuno invece che sia presente un CEO full-time in grado di definire ed eseguire il piano, coordinando un clinical project manager che si occupi di coordinare i fornitori/partner nel percorso di sviluppo ed eventuali risorse interne o esterne che seguano aspetti medico-clinici e regolatori della strategia.


Sei anche mentor, primo fra tutti di B-Heroes: quanto possono essere importanti questo tipo di iniziative per fare da traino all’intero ecosistema e il ruolo di mentore in particolare?

La crescita di un ecosistema si basa sulla capacità di creare casi di successo, che trascinino l’intero scenario di sviluppo attraverso in un circolo virtuoso di creazione di valore. Per questo, ogni iniziativa in grado di intercettare e contribuire al salto di qualità di nuovi innovatori è importantissima – e sicuramente B-Heroes è una di queste.


Adesso parliamo di Claris Ventures SGR, creata di recente assieme a Ciro Spedaliere: da cosa è nata questa esigenza, e se vuoi raccontarci la prima operazione su cui vi siete attivati, Kither Biotech.


Abbiamo creato un nuovo operatore VC per poter lanciare un fondo dedicato unicamente a investimenti a supporto dello sviluppo di nuovi farmaci, coprendo il gap oggi esistente in Italia nell’avviamento di programmi di sviluppo clinico.

Kither Biotech, società attiva nello sviluppo di farmaci per il trattamento di malattie respiratorie, tra cui la fibrosi cistica e la fibrosi polmonare idiopatica, mostrava dati preclinici estremamente promettenti ed un’opportunità di sviluppo molto chiara in indicazioni su cui l’attuale capacità di trattamento è fortemente limitata.

Non potevamo esimerci dal supportare un team scientifico incredibile, che ha sviluppato una pipeline in grado di dare speranza a decine di migliaia di pazienti nel mondo affetti da una malattia rara devastante come la fibrosi cistica. E non saremmo mai stati in grado di contribuire a questa operazione se non avessimo operato in maniera differente rispetto al tipico approccio VC in Italia, lavorando spalla a spalla con il team fondatore per creare un percorso di sviluppo ottimale.


Immagino che reputi il ruolo dei Venture Capital fondamentale nel percorso di messa a terra e sul mercato dell’innovazione. Vuoi provare a spiegarci meglio perché è così secondo te e quali sono i punti di forza e le possibilità che si possono aprire grazie ai VC?

Portare un’innovazione sul mercato è immensamente difficile e soggetto a rischi endogeni ed esogeni. Per questo, oltre ai capitali, è necessario allineare esperienza, network e creatività – contributi che un investitore VC può e deve apportare alle società in cui investe. Avere un investitore VC a bordo significa avere qualcuno che, in pieno allineamento con i fondatori, compie ogni sforzo necessario per il successo del progetto. L’ambizione può portarci ad affrontare un mare in tempesta, ma affrontarlo in solitaria è da folli.


"La crescita di un ecosistema si basa sulla capacità di creare casi di successo, che trascinino l’intero scenario di sviluppo attraverso in un circolo virtuoso di creazione di valore"

Per chi volesse approcciarsi proprio al mondo VC in ambito Biotech: quale consiglio ti sentiresti di dare, e quale dovrebbe essere un possibile percorso di studi/professionale?

La capacità di dialogare con uomini di scienza, pur mantenendo una forte comprensione delle logiche di mercato è fondamentale. Per questo, una esposizione ad entrambi gli aspetti del business è spesso un elemento ricorrente in chi si occupa di investimenti VC in ambito biotech.

Non c’è un percorso standard, ma per entrare nel team di un fondo è importante aver maturato un chiaro angolo di competenza che dia valore agli sforzi del resto del team e a quelli delle società di portafoglio. Come puoi fare la differenza, pur su un piccolo aspetto? 


Adesso torno su qualcosa di più personale: hai avuto dei mentor durante la tua, nonostante tu sia molto giovane, già decennale carriera, nel mondo Pharma/Biotech?

Certamente. Il mio primo capo, in consulenza, è stato per me un esempio estremamente virtuoso (e demanding!) di come la qualità del proprio operato possa portare a risultati incredibili. No insight, no party – mi disse una volta. E aveva ragione.


"La capacità di dialogare con uomini di scienza, pur mantenendo una forte comprensione delle logiche di mercato è fondamentale"

Hai qualche consiglio su libri/blog/podcast da seguire per chi sogna di fare startup? O ancora più precisamente per chi fosse interessato al tuo settore?

Penso che il suggerimento più utile sia essere sempre aggiornati sul proprio settore. Anche il più giovane dei membri di un team può essere un game-changer se individua con prontezza news che impattano i progetti su cui si è attivi. Ed essere aggiornati è il primo step per costruire esperienza e capacità critica. Un esempio: la newsletter di EndpointsNews.com è un must, se siete appassionati di biotech.


Per finire: come reputi l’ecosistema startup in Italia? Ed in particolare nel mondo Biotech?

In Italia stiamo osservando la nascita di progetti interessanti, ma il rate di sviluppo e funding è ancora di un ordine di grandezza inferiore rispetto al pieno potenziale. Nel biotech un buon progetto non fatica a spostarsi all’estero per trovare capitali: un bene per la scienza e per i pazienti, ma un evidente limite della capacità del nostro ecosistema di valorizzare ciò che sviluppiamo. Ciò detto, l’opportunità di fare bene c’è e siamo qui per questo!


"Portare un’innovazione sul mercato è immensamente difficile e soggetto a rischi endogeni ed esogeni. Per questo, oltre ai capitali, è necessario allineare esperienza, network e creatività – contributi che un investitore VC può e deve apportare alle società in cui investe"

Grazie ancora a Pietro per la tua disponibilità e in bocca al lupo per tutti i tuoi progetti!

Crepi il lupo, grazie a te!



Credo davvero che questa intervista sia una delle più interessanti mai pubblicate sul sito, piena di spunti ma anche di consigli pratici. Un buon punto di partenza per chiunque sia interessato al mondo VC e in particolar modo ovviamente per chi fosse interessato al Biotech!


Grazie ancora a Pietro e fatemi sapere cosa ne pensate!


Stay tuned


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